Katyń, di Giuseppe Ghini
Il film inizia con due gruppi di civili polacchi che si incrociano su un ponte (sul fiume Bug?) in direzioni opposte: è il 17 settembre 1939. Pochi giorni dopo i Nazisti (1 settembre), anche i Sovietici hanno invaso la Polonia, attaccandola da Est secondo quanto stabilito nei Protocolli supplementari acclusi al Patto Molotov-Ribbentrop e mantenuti segreti dai contraenti.
(da:www.econlib.org)
Peraltro, com’è evidente dalla mappa, nella realtà Stalin si prese più di quanto stabilito nel pactum sceleris con Hitler: la Lituania, ad esempio, passò dalla ipotetica sfera di influenza tedesca alla reale sfera di influenza sovietica.
La seguente mappa della Polonia con la doppia firma di Stalin (Сталин) e Ribbentrop a sancire la divisione indicata con la linea più marcata è più eloquente di ogni spiegazione.
Qual è la giustificazione di questa invasione della Polonia, e poi delle ulteriori invasioni dei Paesi Baltici? La motivazione ufficiale fornita allora dalle autorità sovietiche fu che occorreva difendere la popolazione bielorussa e ucraina qui presente. Una seconda giustificazione portata in sede storica è che quasi tutti quei territori, prima del 1917, appartenevano all’impero zarista. Naturalmente, questo è vero. Ma era la conseguenza delle tre spartizioni del 1700 e delle annessioni ottocentesche della Polonia all’Austria-Ungheria e alla Russia. La contrapposta visione del diritto della Polonia all’autodeterminazione è resa efficacemente nel film dal generale polacco prigioniero che afferma letteralmente: “Nostro compito è riportare la Polonia sulla carta dell’Europa”. Dall’altra parte, come documentano Read e Fisher, (Read, Anthony e Fisher, David, L’ abbraccio mortale. Hitler e Stalin e il patto Ribbentrop-Molotov 1939-41, Milano, Rizzoli, 1989) “quarta spartizione della Polonia” era appunto il termine usato dai governanti sovietici per riferirsi all’invasione del 1939, che così si mettevano in diretta e consapevole continuità con l’imperialismo zarista.
Il 19 settembre – due giorni dopo – il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni dell’URSS, l’NKVD, crea 8 lager di detenzione per i prigionieri di guerra polacchi. A capo di questi lager il Commissario del Popolo Lavrentij Berija pone il maggiore dell’NKVD Soprunenko. Tra i lager figura il vecchio monastero di Kozel’sk: nel film si vedranno appunto gli ufficiali polacchi imprigionati in un monastero. Vediamo fin dall’inizio quanto sia accurata la ricostruzione di Wayda: notate i berretti celesti dei sovietici che prendono prigionieri gli ufficiali polacchi. A chi ha letto l’Arcipelago Gulag di Solženicyn questo colore è noto: è quello delle mostrine della Polizia politica, quella NKVD da cui in quegli anni dipendevano le isole del Gulag. Questo indica, naturalmente, che fin da subito gli ufficiali polacchi vennero incarcerati dalla Polizia politica e non dall’Armata Rossa.
In tutto saranno tra i 250.000 e i 500.000 i polacchi che verranno internati nei lager sovietici: accanto ai militari, cittadini definiti sospetti.
Il 22 settembre – sono passati quattro giorni dall’invasione dell’URSS –Nazisti e Sovietici sfilano insieme a Brest, sulla nuova linea di demarcazione. Esiste su internet un breve filmato del tempo che mostra i comandanti Tedesco e sovietico (Guderian e Krivoshein) che passano in rassegna congiuntamente le truppe dei due paesi aggressori (cfr.: http://www.youtube.com/watch?v=IIyNZ_n0VE0). Qui alleghiamo solo un paio di fotografie di quell’episodio significativo:
Con decreto del 3 ottobre 1939, una parte dei cittadini polacchi fatti prigionieri dai sovietici viene rilasciata. Più significativo, però, è che nell’occasione 40.000 di loro vengano consegnati ai nazisti, perché residenti nella zona occidentale; in cambio, 14.000 soldati e ufficiali polacchi residenti nei territori orientali passano dai Nazisti ai Sovietici.
Tra gli arrestati dai sovietici figureranno anche il futuro Presidente Jaruzelski, il futuro Primo Ministro israeliano Begin, nonché il padre del regista Andrzej Wajda.
Dal canto suo il generale Władysław Anders che sarà a capo del Corpo d’Armata che si distinguerà nella Battaglia di Montecassino e libererà tra le altre città Ancona, Bologna e, qui in Romagna, Predappio, viene imprigionato prima a Leopoli e poi nel carcere interno della Lubjanka.
All’inizio della primavera del 1940, 26.000 famiglie – tra queste anche quella del futuro generale Jaruzelski – vengono deportate in Siberia e in Kazakistan per un periodo di almeno 10 anni. Il decreto, di cui qui parla, venne preparato congiuntamente da Berija e dal primo segretario del Partito Comunista Ucraino, Nikita Chruščev [1]. Contemporaneamente, cessano di giungere alle famiglie notizie da parte degli ufficiali polacchi incarcerati nei tre lager di Ostaškov, Starobel’sk e Kozel’sk, notizie che fino a quel punto arrivavano per il tramite della Croce Rossa Internazionale.
Il documento che segue in quattro pagine è la proposta di Berija al Politbjuro sulla soluzione finale da riservare agli ufficiali polacchi.
Indirizzata a Stalin e firmata per approvazione dallo stesso Stalin, da Vorošilov, Molotov e Mikojan, venne approvata telefonicamente anche dagli altri due membri del Politbjuro, Kaganovič e Kalinin. Con l’approvazione di questo documento, il governo dell’URSS decise per i 25.700 prigionieri di guerra polacchi una “procedura speciale”, in base alla quale, “senza mandare i detenuti a processo, senza elevare a loro carico capi di imputazione, senza documentare l’istruttoria e senza formulare accuse” “si applicava la più alta misura punitiva: la fucilazione”.
A fine marzo fu predisposto nei dettagli il modo dell’eliminazione nelle carceri di Kiev, Charkov, Cherson, Minsk, dettaglia che si vedono riprodotti nel film.
Si approntarono anche le enormi fosse nella località di Katyń, esattamente come ricostruito da Wajda. I gruppi inizialmente di 350-400 prigionieri vengono ridotti in modo da completare l’eliminazione dei singoli contingenti nel corso di una notte.
Gli avvenimenti si svolgono letteralmente come narrato dal film: quasi tutti i polacchi vennero assassinati con un colpo di pistola in un ben preciso triangolo posteriore del cranio, raramente ne furono necessari due; ad alcuni di cui si temeva la fuga vennero legati i polsi con filo di ferro, ad altri con un cappio che legava polsi e collo, altri vennero trovati con dei colpi di baionetta.
Gli omicidi vennero compiuti da reparti speciali dell’NKDV formati da Esecutori di sentenze capitali, tecnicamente dei boia professionisti.
Di questa impressionante fedeltà filologica che non intralcia, anzi serve alla verità della rappresentazione filmica, fa parte anche il diario che ricostruisce gli avvenimenti giorno per giorno: non si tratta infatti di un’invenzione degli sceneggiatori, ma corrisponde parola per parola al diario del maggiore Adam Solski trovato nel 1943 dai tedeschi addosso ad uno degli ufficiali fucilati a Katyń.
Nel giugno del 1941 il Governo Polacco in esilio a Londra e il Governo Sovietico conclusero un accordo per costituire un Corpo d’Armata per combrattere i Nazisti. Il generale Anders e il gen. Sikorski, incaricati dell’organizzazione di questa armata, incontrarono Stalin a cui chiesero personalmente notizie sugli ufficiali polacchi che credevano internati nei lager russi. Dopo risposte evasive, Stalin rispose letteralmente che “erano fuggiti in Maciuria” (il brano è stato trascritto dallo stesso Anders).
Nell’Aprile del 1943, su indicazione di alcuni abitanti del luogo, i militari dell’esercito nazista che aveva invaso l’URSS scoprirono le fosse comuni di Katyń con i corpi di almeno 4000 ufficiali polacchi. Costituirono una Commissione internazionale di cui fecero parte anche membri della Croce Rossa. Il mondo venne pertanto a sapere dai Nazisti del crimine perpetrato dai Sovietici a danno dei Polacchi.
Nel 1944, fu la volta dei Sovietici a costituire una Commissione che pretese di dimostrare che il massacro di Katyń era da attribuire ai Nazisti.
Naturalmente, c’era un problema di date, com’è chiaro dal film. La responsabilità del massacro dipendeva cioè da quale esercito occupava la zona di Katyń, a circa 400 km. da Mosca, in pieno territorio russo.
I risultati della Commissione sovietica cozzavano con le testimonianze imparziali che giungevano fino ai governanti supremi degli Alleati. Per opportunità politica, tuttavia, questi si rifiutarono di condannare pubblicamente le conclusioni addomesticate della Commissione sovietica.
Al Processo di Norimberga, il Pubblico Ministero, che era sovietico, tentò di utilizzare i risultati della Commissione sovietica e di incolpare pubblicamente i Nazisti del massacro di Katyń. USA e GB non appoggiarono le tesi del PM, così Katyń non rientrò tra i delitti esaminati a Norimberga.
Nel 1951-52, in piena Guerra Fredda, una Commissione del Governo americano stabilì che i colpevoli erano i Sovietici. Nel frattempo, questi organizzavano un’ampia manovra di disinformazione: individuato un paese bielorusso dal nome simile – Hatyn – in cui si era svolto un eccidio di marca nazista, costruirono un monumento in memoria delle vittime e presero ad organizzarvi visite anche di capi di stato: tra questi – Fidel Castro e Nixon. Il tutto per tentare di confondere la memoria del massacro di Katyń.
Nel 1989 fu costituita una nuova Commissione russa che stabilì che la responsabilità del massacro andava addebitata all’NKVD. Contemporaneamente, stabilì che non si poteva parlare di genocidio perché non era stato annientato un “gruppo demografico”. Se una parte dei documenti venne consegnata direttamente da Gorbačev a Jaruzelski, il 13 aprile 1990, la maggior parte è rimasta secretata negli archivi russi. Quello stesso giorno un comunicato della TASS addebitava la responsabillità del massacro di Katyń a Berija e ai suoi collaboratori e lo riconosceva come “uno dei peggiori crimini dello stalinismo”.
Al termine ci possiamo chiedere il perché di questo massacro. Secondo Donald Rayfield (Stalin e i suoi boia, Milano, Garzanti, 2005), Stalin e la sua corte di psicopatici non aveva digerito la sconfitta che l’Armata Rossa aveva subito nel 1920 ad opera di quegli stessi ufficiali polacchi. Non importava se sarebbero potuti essere utili – come poi accadrà – in una non improbabile guerra contro Hitler: il risentimento antipolacco – secondo Rayfield – era stato più forte della ragione.
Secondo Victor Zaslavsky, invece, si trattò propriamente di una pulizia di classe, di un classicidio. Analizzando la documentazione relativa ai polacchi deportati e fucilati, Zaslavsky stabilisce che per la maggior parte apparteneva a un ceto sociale non operaio o contadino (lo stesso Jaruzelski, per esempio, veniva da famiglia di origini nobiliari). Quello che agì, pertanto, fu un risentimento di classe e l’appartenenza ad un determinato in assenza di una qualunque responsabilità penale fu la ragione sufficiente a far decidere i capi dell’ideocrazia sovietica per l’annientamento degli ufficiali polacchi.
Ma il massacro di Katyń non è solo un fatto che appartiene storia; è anche un fatto della storiografia, cioè della grande menzogna architettata per nascondere e minimizzare i delitti di marca comunista.
Ci possiamo dunque chiedere il perché di questa enorme campagna di disinformazione, di menzogna, che durò in pratica fino a quando gli ultimi governanti sovietici – Gorbačev – sollevarono il velo su quella menzogna. Anzitutto, come ha notato Pierluigi Battista, Katyń metteva in crisi il paradigma antifascista che dominava la storiografia occidentale, italiana compresa. Quel paradigma secondo cui è esistito un fronte antifascista di cui ha fatto parte da sempre l’Unione Sovietica. Gli allegati segreti del Patto Molotov-Ribbentrop, la sfilata congiunta Nazi-Sovietica a Brest, l’infame scambio di prigionieri polacchi nel 1939, testimoniava la falsità di quel paradigma antifascista. Meglio passarlo sotto silenzio.
In secondo luogo, era l’interpretazione dello stalinismo come frutto marcio del leninismo che veniva messo in crisi da Katyń. Questa interpretazione si appoggiava fortemente sul culto della personalità staliniano. Ora se si dimostra che Chruščev era uno dei collaboratori di uno dei più efferati crimini dello stalinismo, crollava l’intero castello della presunta destalinizzazione.
In terzo luogo la connivenza dei membri occidentali del Comintern, che avevano pedissequamente eseguito gli ordini di Stalin, veniva sbugiardata dall’eccidio di Katyń.
Contro tale disinformazione, consci che noi siamo ciò di cui facciamo memoria, ritengo che dobbiamo esigere che nei manuali di storia dei nostri figli sia riportato su Katyń, almeno quanto scrivono oggi i manuali russi. Ecco ad esempio le 5 righe di Istorija Rossii. XX-načalo XXI veka, di A.A. Levandovskij e Ju.A. Ščetinov, Moskva, Prosveščenie, 2005, p. 226:
“Come è stato stabilito da documenti segreti del CC del Partito Comunista Panrusso (bolscevico) e dell’NKVD, nella primavera del 1940 furono fucilati quasi 22 mila ‘prigionieri ufficiali, gendarmi, poliziotti e proprietari terrieri ecc. della ex borghesia polacca’ rinchiusi nei campi di concentramento e nelle prigioni soietiche. Una parte di loro fu sottoposta ad esecuzione senza processo nel bosco di Katyń, presso Smolensk”.
[1] Su questa e sull’intero massacro di Katyn, il libro più significativo pubblicato in Italia è probabilmente quello del russo Victor Zaslavsky, Pulizia di classe. Il massacro di Katyn, Bologna, Il Mulino, 2006.